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Immagine del redattoreAlice Rondelli

Reame in boccetta

Nella puntata di Report, condotta da Sigfrido Ranucci, andata in onda domenica 11 febbraio 2024 sono stati presentati due servizi molto interessanti sull’affaire Covid-19 dei quali riferirò i punti salienti, integrandoli con alcuni passaggi tratti dal mio saggio, intitolato “SARS-CoV-2 papers: il fattore EpiGirl”.

Ph. Palermo street art , autore sconosciuto, 2023 (Alice Rondelli)


Il primo servizio, firmato da Giulio Valesini e Cataldo Ciccottella, fa un bilancio di come sono state usate le dosi dei vaccini contro il Covid. I numeri sono impressionanti. L’Italia ha speso 4,4 miliardi di euro per 381 milioni di dosi, ma ne sono state utilizzate solamente 147 milioni, meno della metà di quelle acquistate. La contrattazione per la compravendita si è svolta tra l’Unione Europea e le case farmaceutiche, in base al numero degli abitanti di ogni Paese e tutti gli stati membri si sono ritrovati nelle stesse condizioni. I suddetti contratti avrebbero dovuto essere valutati dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), ma alcuni dei manager non ne hanno preso visione, mentre altri si sono rifiutati di consultarli, temendo la fuga di notizie delle parti riservate, nonché rappresaglie dal punto di vista legale. Dopo i primi due contratti, tutti gli stati membri dell’Unione Europea si sono ritrovati con dosi di farmaco in eccesso e con le nuove dosi, già acquistate, in arrivo. A quel punto, l’UE ha deciso di ricontrattare con le case farmaceutiche, in particolare con Pfizer, diluendo le dosi fino al 2026 e rinunciando a una parte di esse; tuttavia, le dosi che non verranno consegnate dovranno essere, in parte, pagate: per la precisione 10 euro a dose (ovvero, con uno sconto del 50%), per un totale di 24 milioni di sieri. Nel frattempo, nonostante i nuovi vaccini continuino ad arrivare negli stati membri, la campagna vaccinale 2024 in Italia si sta rivelando un fallimento, vuoi per la sfiducia dei cittadini, vuoi perché vaccinarsi contro il Covid non è più percepito dalla popolazione come necessario. I dati che provengono dai recenti studi degli ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), infatti, confermano che la copertura dei sieri non dura più di tre mesi, a differenza di ciò che era stato detto ai cittadini durante la pandemia. Un team di ricercatori ha verificato quanto il secondo e il terzo richiamo siano efficaci rispetto al ciclo primario (ovvero, la prima dose) sui pazienti over 50 e i risultati sono chiari: l’immunità diminuisce nel tempo tra i tre e i sei mesi dalla dose più recente, arrivando al 33-49% contro l’ospedalizzazione e al 50-63% contro la mortalità dopo tre mesi dalla quarta dose. Dopo 6 mesi dall’ultima iniezione, la protezione cala ancora: dal 3,5-43% contro l’ospedalizzazione e del 50% contro la mortalità.   

Qualcosa di simile lo aveva spiegato fin dal principio Peter Doshi (senior editor presso la prestigiosa rivista scientifica British Medical Journal e professore associato di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici presso la School of Pharmacy dell’Università del Maryland). Riporto un estratto dal mio saggio: «In un articolo datato 26 novembre 2020, pubblicato appunto sul British Medical Journal, Doshi esordisce dicendo che “solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno alle persone di prendere decisioni informate”. In seguito, egli afferma che nonostante “i migliori risultati di efficacia degli studi sperimentali sul vaccino Covid-19 di Pfizer e Moderna, a prima vista siano sbalorditivi, essi segnalano una riduzione del rischio relativo, ma non una riduzione del rischio assoluto, che sembra essere inferiore all’1%” e che “essi si riferiscono all’endpoint primario (che riguarda la sopravvivenza del soggetto testato), ma non alla capacità del vaccino di salvare vite umane, né alla capacità di prevenire l’infezione, né all’efficacia in sottogruppi importanti (ad esempio, anziani fragili).” Inoltre, “questi risultati riflettono un punto temporale relativamente breve dopo la vaccinazione e non sappiamo nulla delle prestazioni del vaccino a 3, 6 o 12 mesi dall’inoculazione, quindi non possiamo confrontare questi numeri con altri vaccini come, per esempio, i vaccini antinfluenzali.” Doshi sottolinea anche come “né Moderna, né Pfizer hanno rilasciato alcun campione di materiale scritto fornito ai pazienti, quindi non è chiaro quali eventuali istruzioni siano state ad essi fornite in merito all’uso di medicinali per trattare gli effetti collaterali dopo la vaccinazione”».

I contratti tra l’UE e Big Pharma, che sono stati secretati, obbligavano gli stati europei ad acquistare un miliardo e ottocentomila dosi del siero firmato Pfizer, forse intuendo che la protezione avrebbe avuto durata limitata. Esaminando alcuni documenti interni dell’EMA (European Medicines Agency), i giornalisti hanno scoperto che il 18 maggio 2021, Pfizer aveva comunicato che dopo quattro mesi dall’iniezione si passava dal 95% all’83,7% di protezione, ma l’EMA ci mise diversi mesi a studiare e confermare quell’evidenza. I termini della ricontrattazione per le dosi non necessarie intercorsi tra Pfizer e la Commissione Europea sono rimasti segreti, ma Giovanni Rezza (che era a capo della Direzione della Prevenzione del Ministero della Salute) svela che i termini dell’accordo erano così delicati che egli stesso si rifiutò di leggere i contratti, per evitare che i dettagli trapelassero arrivando alla stampa. I giornalisti, a questo punto, spiegano gli accordi nel dettaglio: in Italia sarebbero arrivate ulteriori 36 milioni di dosi, circa 12 milioni ogni anno fino al 2026 e, al contempo, sono state rifiutate le già pattuite 24,2 milioni dosi di siero, pagandole comunque 10 euro l’una. Quindi, Pfizer incasserà anche sull’invenduto: più di 240 milioni di euro. Questo spreco e sprezzo dei soldi pubblici Rezza lo definisce “risparmio”.  

Inoltre, Report ha scoperto che l’Italia ha acquistato 9,7 milioni di dosi dall’azienda farmaceutica SANOFI per 44 milioni di euro, di cui solamente 245 sono state iniettate; le restanti sono finite, come molte altre, regalate a Paesi del terzo mondo, che non avendo i mezzi per conservarle, né un sistema efficiente di farmacovigilanza, le hanno smaltite come rifiuti.

Il governo italiano ha acquistato un altro milione di dosi da Valneva, per 4,8 milioni di euro, per poi cancellare il contratto dopo aver pagato il prodotto a prezzo pieno. Johnson&Johnson ha venduto all’Italia 221 milioni di euro di dosi (per la precisione 40 milioni) di cui solo 2 milioni sono state iniettate; anche queste sono state distrutte o donate. Per quanto riguarda i nuovi arrivi dei vaccini, la consegna di 36 milioni di dosi è stata ricontrattata direttamente da Ursula von der Leyen e Pfizer.

L’Europa ha acquistato 4,2 miliardi di dosi e la parte comprata dall’Italia equivale a 381 milioni di sieri, di cui almeno 150 milioni sono in eccesso. Attualmente, il nostro Paese ha in magazzino 21 milioni di dosi, delle quali 16 milioni non sono aggiornate alle varianti e sono, quindi, inutilizzabili. In totale l’Italia ha già scartato 46,8 milioni di dosi scadute, problema comune a tutti i Paesi europei, per un totale complessivo di 215 milioni di dosi dal 2021 (cifra che rappresenta una sottostima): 4 miliardi di euro buttati.

L’accordo sui vaccini negoziato dalla von der Leyen nel 2021 non convinceva alcuni importanti dirigenti italiani, tra cui Nicola Magrini (capo dell’AIFA) che, se oggi ridimensiona, all’epoca si infuriò per quel contratto. Magrini questionava, in particolare, il fatto che Pfizer si rendesse disponibile a condividere la consegna dei dati sugli eventi avversi solo dopo due anni (ovvero, nel dicembre 2024) e che prevedeva anche di sollevare Pfizer dai rischi legali in caso di effetti avversi. In una conversazione con Goffredo Zaccari (allora Capo di Gabinetto del Ministero della Salute), Magrini domandava: «ritieni sia normale che i contratti che abbiamo firmato nessuno li abbia letti?». Parlando con il giornalista di Report, oggi Magrini sostiene che all’epoca ci fosse la necessità di acquistare i vaccini al più presto e che, quindi, non voleva interferire nel processo di acquisto; insomma, nonostante gli rimordesse la coscienza, ha preferito lavarsene le mani.

I dati sui vaccini sono diventati pubblici solo a fine 2023, grazie ad una strenua battaglia legale che ha superato l’ostruzionismo dell’americana FDA (Food and Drug Administration). Tratto dal mio saggio: «Il 15 novembre 2021 un gruppo di oltre 30 professori e scienziati di università tra le quali Yale, Harvard, UCLA e Brown (membri del Public Health and Medical Professionals for Transparency) aveva presentato istanza presso un tribunale del Texas per ottenere che l’FDA accelerasse il rilascio della documentazione in suo possesso sui vaccini di Pfizer, già richiesta attraverso l’uso del Freedom Act Information (FOIA). A quella prima istanza, l’FDA aveva risposto che, a causa della carenza di personale del suo ufficio FOIA, sarebbero riusciti a consegnare solamente 500 pagine di documentazione mese, delle 329.000 totali; questo avrebbe comportato un’attesa di decine di anni prima di poter ottenere tutto il materiale e, dunque, renderlo pubblico». Peter Doshi spiega che secondo la sentenza l’FDA avrebbe dovuto rilasciare oltre 50.000 pagine al mese; le aziende private Pfizer e Moderna, invece, non hanno ancora preso in considerazione la richiesta di questi dati e il motivo risiede nel fatto che la scoperta del declino della copertura e dell’efficacia vaccinale aveva messo in crisi la narrazione che era stata presentata. Il terzo grande contratto con Pfizer firmato da von der Leyen nel maggio 2021 favoriva Pfizer a partire dal prezzo: 19,5 euro a dose, rispetto ai 15 euro dei precedenti accordi. Questo dispendioso contratto è quello che farà perdurare le forniture fino al 2026 e bisogna ricordare che il Ministro della Salute dell’epoca, Roberto Speranza, era d’accordo con i termini concordati dall’UE.

Dal mio saggio: «Il 16 settembre 2021 la mediatrice europea, Emily O’Reilly chiese di avere accesso alle conversazioni confidenziali tra il CEO di Pfizer, Albert Bourla e von der Leyen, ma la Commissione rispose affermando di non essere in grado di trovare gli sms in questione, perché essi potevano essere stati cancellati a causa della loro “natura effimera”. Il 5 ottobre 2021 la Commissione Europea rifiutò ufficialmente l’accesso del pubblico al testo dei messaggi scambiati tra von der Leyen e Bourla. Pochi giorni dopo, la procura europea annunciò di avere aperto un’inchiesta sull’acquisto dei vaccini anti Covid, dopo che una relazione della Corte dei conti dell’UE aveva sollevato non poche perplessità sulla gestione della trattativa tra Bruxelles e Pfizer. A novembre 2022, l’eurodeputata italiana Rosa D’Amato presentò un’interrogazione alla Commissione Europea per chiedere lumi sul coinvolgimento di Heiko von der Leyen (marito della presidente) in un progetto di ricerca sui vaccini mRNA. Il progetto, finanziato dall’Italia con 320 milioni di euro provenienti dal PNRR (il piano UE per la ripresa post pandemia) prevedeva la partecipazione della società biotech statunitense Orgenesis, di cui Heiko von der Leyen era, all’epoca, direttore scientifico. Dopo le polemiche, il marito della leader dell’Unione Europea si dimise dall’incarico e nel febbraio 2023 il New York Times portò la Commissione Europea in tribunale, per non aver reso pubblico lo scambio di messaggi tra la Presidente von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla».

I giornalisti continuano spiegando che nel settembre 2022 la Corte dei conti europea ha scritto una relazione ammettendo che il contratto da 1 miliardo e 800 milioni di dosi si era svolto al di fuori delle normali procedure negoziali. Quando la Commissione del Parlamento Europeo chiese spiegazioni, Burla decise di non partecipare. Durante un’audizione al Parlamento Europeo avvenuta il10 ottobre 2022, sul perché fossero state acquistate più dosi e ad un prezzo più elevato Janine Small, manager di Pfizer, disse che l’azienda si era adoperata per essere quanto più trasparente possibile e che le parti del contratto secretate erano commercialmente riservate e che condividerle avrebbe compromesso gli interessi di tutti. Come riporto nel mio saggio, rispondendo alla domanda diretta posta da Rob Roos (eurodeputato olandese del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei): «Il vaccino di Pfizer è stato testato per fermare la trasmissione del virus prima di sbarcare sul mercato?», la stessa Janine Small rispose: «Mi chiede se sapessimo se il vaccino interrompesse o no la trasmissione, prima di immetterlo sul mercato? Ma no! Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza».

Dalle carte di un’inchiesta di Bergamo, si è scoperto che ad agosto 2020 anche il ministro Speranza si accordò con il governo tedesco per sottrarre le controversie sui vaccini ai tribunali ordinari: in sostanza, si accettava un arbitrato per controversie anziché usare le leggi ordinarie. Un fatto gravissimo, tanto che Giuseppe Ruocco (ex Segretario Generale del Ministero della Salute, fido negoziatore) se ne dissociava, dicendosi molto dubbioso. Tuttavia, anche Ruocco se ne lavò le mani dinanzi all’okay del governo olandese e di quello svedese.

E mentre grazie agli accordi con l’UE l’Italia ha speso 4,4 miliardi di soldi pubblici in vaccini per lo più da buttare, Pfizer è passata, in soli due anni, da un fatturato di 42 miliardi (con un utile di 9 miliardi) del 2020, ad un fatturato di 100 miliardi (con un utile di 32 miliardi). I guadagni di Pfizer sono finiti in dividendi per gli azionisti: il valore di borsa della casa farmaceutica è passato da 190 a 280 miliardi. Il giorno successivo all’ottenimento del via libera alla sperimentazione del vaccino, il CEO Albert Bourla ha venduto le sue azioni Pfizer per un ricavo di 5,6 milioni di dollari in un solo giorno. Non è stato l’unico, ovviamente: il CEO di Moderna, Stéphane Bancel, ogni settimana vendeva pacchettini di azioni, per un incasso di oltre 200 milioni di dollari nel suo portafoglio personale nel giro di un anno e mezzo.

 

Il secondo servizio, a cura di Claudia Di Pasquale, si occupa delle dosi di vaccino in eccesso che sono state inviate ai Paesi africani e a quelli asiatici, che non dispongono di un sistema di farmaco vigilanza che possa sorvegliare efficacemente sugli eventi avversi occorsi, i quali sfuggirebbero, dunque, alle statistiche che le varie agenzie raccolgono per stabilire la sicurezza dei vaccini.

A proposito di farmacovigilanza, la giornalista indaga sugli effetti avversi e i decessi a causa del vaccino Covid. Giovanni Rezza, Direttore Generale Prevenzione del Ministero della Salute, spiega a Di Pasquale che il 15 marzo 2021 si decise di sospendere la vaccinazione con AstraZeneca, ma solo per te giorni in quanto, sostiene: «Non esistevano elementi sufficienti a dire che ci fosse un’associazione causale tra la vaccinazione e l’evento avverso». Il 19 marzo 2021 il Ministero della Salute italiano riportò il comunicato dell’EMA, secondo cui la stessa: «ha confermato il favorevole rapporto beneficio/rischio del vaccino antiCovid-19 AstraZeneca, escludendo un’associazione tra i casi di trombosi e il vaccino». In realtà, l’EMA non l’aveva esclusa, anzi, la riteneva possibile. Nello stesso periodo (precisamente il 17 marzo) l’immunologo tedesco Andreas Greinacher stava analizzando 11 campioni di sangue di pazienti colpiti da PTT, sostenendo che per trattare quei casi bastasse somministrare immunoglobuline.  La porpora trombocitopenica trombotica (PTT) è una malattia grave che provoca la formazione di piccoli coaguli di sangue in tutto il corpo, che bloccano l’apporto di sangue a organi vitali come il cervello, il cuore e i reni. Secondo Greinacher sono gli anticorpi anti-PF4 indotti dal vaccino ad attivare le piastrine e a causare la malattia che, in questo caso, si denomina VITT (termine coniato da egli stesso). Dal mio saggio: «Una literature review pubblicata nell’aprile 2022 sulla National Library of Medicine, specifica che seppure la frequenza della VITT (trombocitopenia e trombosi indotte dal vaccino) fosse stata stimata in circa 1 caso ogni 100.000 esposizioni, è molto improbabile che diversi casi di trombosi risultino direttamente dopo la vaccinazione e che la problematica avrebbe potuto svilupparsi anche dopo un anno». Tuttavia, mentre morivano altre persone a causa della stessa patologia, l’EMA e l’AIFA continuarono a sostenere che la VITT fosse una sindrome rara. In particolare, nei casi di decesso, si parla di sindrome da trombosi con trombocitopenia. Un breve estratto dal mio saggio: «Un’analisi multinazionale svedese pubblicata il 6 ottobre 2022 dal BMJ vorrebbe dimostrare che la prima dose del vaccino di AstraZeneca ha aumentato il rischio di sviluppare una trombosi con sindrome trombocitopenica del 30%, mentre con il vaccino di Pfizer il rischio era minore. Tuttavia, osservando i dati (…) si nota che il target per AstraZeneca (3.789.631) è quasi il doppio di quello di Pfizer (1.840.240). Si specifica che si sono osservati “un totale di 862 eventi di trombocitopenia nei destinatari corrispondenti della prima dose di ChAdOx1-S (AstraZeneca) e 520 dopo una prima dose di BNT162b2 (Pfizer)”. La differenza non è poi così significativa, se consideriamo che per AstraZeneca sono state prese in esame 1.949.391 persone in più rispetto a Pfizer. I ricercatori svedesi, inoltre, affermano che “uno studio basato su dati danesi e norvegesi ha anche rilevato tassi di tromboembolia venosa, embolia polmonare e trombosi del seno venoso cerebrale superiori al previsto dopo la vaccinazione rispetto ai tassi di base” e che “uno studio scozzese ha rilevato un aumento del rischio di eventi tromboembolici arteriosi”». Già nel 1999 alcuni ricercatori di Berlino scoprirono che la somministrazione dell’adenovirus (che è lo stesso contenuto nel vaccino di AstraZeneca) può causare trombocitopenica nei conigli e la ragione potrebbe essere legata a dei problemi di coagulazione. In un altro studio del 2001 vennero somministrate alte dosi di adenovirus a dei macachi, con gli stessi risultati sopracitati. L’adenovirus utilizzato nella terapia genica, dunque, rimaneva problematico. Dal mio saggio: «Secondo la definizione dell’FDA “la terapia genica umana cerca di modificare o manipolare l’espressione di un gene o di alterare le proprietà biologiche delle cellule viventi per uso terapeutico”; essa è “una tecnica che modifica i geni di una persona per trattare o curare una malattia”. Inoltre, si aggiunge che “esistono diversi tipi di prodotti per la terapia genica, tra i quali quella a base di vettori virali” perché “i virus hanno una capacità naturale di trasportare materiale genetico nelle cellule, e quindi alcuni prodotti di terapia genica derivano da essi. Una volta che i virus sono stati modificati per rimuovere la loro capacità di causare malattie infettive, possono essere utilizzati come vettori (veicoli) per trasportare geni terapeutici nelle cellule umane”». Il vaccino Covid di AstraZeneca è proprio ciò che si intende per “utilizzo di un adenovirus nella terapia genica”. Uno studio su adenovirus, trombocitopenia e topi (svolto nel 2007 dell’ematologa canadese Maha Othman) ha evidenziato che l’adenovirus si lega alle piastrine attivandole e innescando, così, la coagulazione.

Nonostante le svariate denunce, tutte le procure italiane hanno deciso di archiviare i casi anziché procedere con l’incriminazione delle cause farmaceutiche.

Dalla fine del 2021 il Regno Unito ha silenziosamente abbandonato l’utilizzo del vaccino che proprio l’inglese AstraZeneca aveva inventato; il motivo non è noto, ma probabilmente è stato per via delle 80 persone decedute a causa della VITT. Il primo caso certificato di morte in Inghilterra venne registrato il 26 gennaio, tre giorni prima che la Commissione Europea europea autorizzasse l’utilizzo del vaccino AstraZeneca nei Paesi dell’Unione; l’uomo, un medico, aveva ricevuto il vaccino il 16 gennaio 2021, appena dodici giorni dopo l’inizio della campagna vaccinale in Gran Bretagna. Le cause della morte riscontrate furono: infarto celebrale, emorragia intracranica spontanea e trombosi al seno venoso sagittale. Nel referto non venne scritto che il deceduto fosse anche stato affetto da trombocitopenia, ma la moglie spiega alla giornalista che i medici ne erano al corrente; infatti, erano stati proprio loro a comunicarle che non avrebbero potuto operare il marito perché aveva le piastrine così basse che la macchina non era stata in grando di rilevarne i parametri.

Solo il 19 aprile 2023, a fronte della strenua battaglia della moglie, un medico certificò che Stephen Wright era deceduto a causa della vaccine-inducted thrombosis and thromocytopenia.

Il dubbio è che la farmacovigilanza inglese nel caso dei vaccini Covid non sia stata affatto solerte ed efficace. Secondo le mie ricerche, infatti, il Summary of Yellow Card reporting for COVID-19, pubblicato il 23 gennaio 2023 dal Regno Unito, sottolineava che le segnalazioni relative agli eventi avversi post vaccinazione fossero in fase di revisione da parte degli esperti indipendenti del CHM Covid-19 Vaccines Benefit Risk Expert Working Group (un gruppo consultivo di sanitari esperti), causando così un ritardo nelle pubblicazioni relative agli eventi avversi.

Nonostante nel 2021 il già citato immunologo tedesco Andreas Greinacher avesse coniato il termine VITT (immune thrombotic thrombocytopenia), che specifica come la causa della sindrome da piastrine basse sia da ricercarsi in determinati tipi di vaccino, e che è entrato a far parte della letteratura scientifica, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) continua ad utilizzare il più generico termine TTS (thrombosis with thrombocytopenia syndrome).

Nel frattempo, i ricavi di AstraZeneca sono passati dai 26,6 miliardi di dollari del 2020, ai 37,4 miliardi del 2021, ai 44,4 miliardi del 2022, diventando così l’azienda ad oggi più ricca del Regno Unito. Nonostante questo, se dovesse perdere la causa legale che riguarda i risarcimenti per le famiglie delle vittime, i cui decessi sono stati causati dal suo vaccino, sarà il governo inglese a pagare, ovviamente con i soldi dei contribuenti britannici, perché lo Stato si è fatto garante delle case farmaceutiche e si è fatto carico del pagamento di eventuali danni.

Intanto, in Italia, il 7 aprile 2021 il Ministero della Salute emanava su indicazione dell’AIFA una nuova circolare in cui raccomandava l’uso del vaccino AstraZeneca agli over 60, nonostante successivamente fossero stati organizzati gli open day per la vaccinazione agli over 18. A domanda della giornalista sul motivo, Giovanni Rezza (Direttore Generale Prevenzione del Ministero della Salute), nonostante avesse partecipato ad una riunione del Comitato Tecnico Scientifico, risponde: «Lei ha mai trovato una circolare in cui si raccomandano gli open day?». Secondo Rezza il CTS offriva un parere consultivo, non governava e quindi, si evince, la responsabilità di ciò che decise il governo non gli competeva. Un’altra lavata di mani. Tuttavia non è affatto così: il CTS concedeva il nullaosta alle regioni per procedere con gli open day. A maggio 2021, nel periodo degli open day, il Ministero della Salute comunicò che gli eventi avversi erano stati di 1 ogni 100.00 dosi, tuttavia il dato non specificava il sesso e l’età dei soggetti interessati; in realtà il rischio per le giovani donne era di 1 ogni 25.000 dosi. A dispetto di questo, nel rapporto di agosto 2021 il tasso diventò addirittura di 1 su ogni milione di dosi effettuate, mentre il 10 giugno 2021, dopo aver partecipato proprio ad un open day AstraZeneca a Genova, moriva una ragazza di diciotto anni. Il giorno successivo si decise di terminare le inoculazioni con quel vaccino al di sotto dei sessant’anni d’età. Quando la giornalista fa notare a Giovanni Rezza la strana coincidenza, egli risponde che gli open day non erano responsabilità del Ministero della Salute, né del CTS. Nonostante tutto questo, nell’autunno del 2022 l’EMA concesse l’autorizzazione per l’immissione in commercio del vaccino AstraZeneca, prima si trattava solo di “commercializzazione condizionata”.

 

In questa vicenda, che vede coinvolto un numero enorme di Ponzio Pilato, a morire è prima di tutto la fiducia nello Stato.

 

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