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MAMMA GAZA

  • Immagine del redattore: Alice Rondelli
    Alice Rondelli
  • 9 apr
  • Tempo di lettura: 15 min

Aggiornamento: 7 giorni fa

Secondo Amnesty International gli Stati firmatari del Trattato di Roma sono legalmente obbligati a far rispettare il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu. Purtroppo, non è così: i vincoli in materia di immunità diplomatica si rivelano l'escamotage perfetto per i governi e, al contempo, ci svelano l'impotenza del diritto internazionale dinanzi alle spregiudicate azioni di Israele in Medioriente.
ph. "Mamma Gaza" di Tutto e Niente (2025)

Mamma Roma è un film del 1962 scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Roma Garofalo, la protagonista (interpretata da Anna Magnani) è una prostituta decisa a cambiare vita per amore del figlio, Ettore, ignaro della professione della madre. Procedendo risoluta per i tanti inciampi che la vita le pone dinanzi, Mamma Roma scopre che il riscatto sociale tanto agognato non è che una chimera. La pellicola, intrisa della sporca e incantevole umanità che Pasolini era maestro nel dispiegare al suo pubblico di spettatori e lettori, mi ha portato alla mente la situazione che, ormai da più di settant’anni, il popolo palestinese si trova ad affrontare con una forza e dignità senza eguali nella storia. Il passato, che viene a cercare i palestinesi ancora e ancora, è indissolubilmente legato alla costruzione del diritto internazionale, che oggi più che mai si rivela inefficace a combattere le ingiustizie e a tutelare i diritti umani. Gaza ci mostra l’inutile velleità occidentale di farsi portatrice di un sistema che si sta dimostrando ipocrita e imperfetto, incapace di proteggere gli ultimi e gli indifesi. Un’ambiguità fatale che squarcia, dinanzi al mondo intero, il velo di Maya e che ci rivela la verità sulle leggi dell’uomo: maschere che i governi indossano per celare la loro disumanità e indifferenza.

 

Il contenuto del diritto internazionale è costituito da un insieme di limiti all’uso della forza da parte degli Stati, ovvero di una forma di violenza di tipo bellico nei confronti di altri Stati e da un insieme di limiti che concernono l’uso della forza verso l’interno nei confronti di individui, persone fisiche o giuridiche e i loro beni.

La consuetudine giuridica ha affermato il principio secondo il quale la violazione della sovranità territoriale avviene quando uno Stato interviene sul territorio di un altro senza l’autorizzazione di quest’ultimo.

Secondo la Dottrina Stimson del 1932, ogni tentativo di limitare la portata del principio di effettività (ovvero che l’esercizio effettivo del potere di un governo sul proprio territorio fa sorgere il suo diritto all’esercizio esclusivo del potere dello stesso) e disconoscere l’espansione territoriale è frutto di violazioni di norme internazionali; tuttavia, la prassi è orientata nel senso che l’effettivo consolidamento dell’esercizio del potere di governo su di un territorio – anche con la forza –  comporta l’acquisto della sovranità territoriale.

Questo è ciò che sta accadendo in Palestina.

A consolidare ulteriormente questa consuetudine giuridica vi è il fatto che lo Stato Palestinese non è mai stato riconosciuto dalla maggior parte degli Stati.

 

La resistenza posta in essere da Hamas per arginare la colonizzazione israeliana sul territorio palestinese attraverso le azioni dei cosiddetti settlers (i coloni israeliani che si impossessano sistematicamente da anni delle terre dei palestinesi) richiama ad un altro importante principio, che spiega che se ad un atto di aggressione non si reagisce subito nell’esercizio dell’autotutela individuale o collettiva (come è avvenuto nel caso dell’aggressione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1991) la situazione si consolida.

Nonostante questa prassi le Nazioni Unite hanno sempre, formalmente, sostenuto l’obbligo (teorico) di restituzione gravante sullo Stato che abbia commesso l’aggressione o che detenga il territorio in dispregio del principio di autodeterminazione dei popoli.

Non meno rilevante è il fatto che l’espandersi della sovranità sul territorio di un altro Stato comporta il passaggio allo Stato subentrante delle proprietà pubbliche e private dello stato predecessore. In sostanza, con la cristallizzazione della situazione attuale, Israele prenderà di fatto possesso non solo del territorio, ma anche di tutte le istituzioni che su esso vigono.

 

Ovviamente esistono dei limiti – che, teoricamente, vigono su scala universale – al diritto consuetudinario: ovvero, le due convenzioni delle Nazioni Unite: il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi datati 1966.

Entrambe le convezioni all’art. 1 stabiliscono che «Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale».

Non starò a snocciolare nessuno degli altri articoli, mi limito a dire che sono un concentrato di buone intenzioni sconfessate più e più volte dalle azioni di guerra intraprese dagli USA e dai suoi alleati nel corso dei decenni che sono seguiti alla ratifica delle sopraccitate convenzioni.

Dunque, va da sé che l’autorevolezza dell’istituzione “Nazioni Unite” può essere considerata niente più che un velleitario tentativo di emancipare gli Stati dalla barbarie della guerra, dell’espansione territoriale e della colonizzazione senza pur tuttavia riuscirci.

 

In queste Convenzioni trovano ampio spazio le cosiddette gross violations, che riguardano soprattutto la tortura e i trattamenti disumani e degradanti, alle quali stiamo assistendo senza sosta dal 7 ottobre 2023 in Palestina.

All’art. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, si enuncia: «Ai fini della presente Convenzione, il termine tortura indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenza siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito (…)».

Da questa definizione possiamo facilmente dedurre che Israele (pur non avendola mai ratificata) ha ripetutamente violato la suddetta convenzione quando ha cominciato a punire la popolazione palestinese per arrivare ai membri di Hamas; come anche quando ha bombardato gli ospedali sostenendo che fungevano da covo della resistenza. Si, perché privare i civili di una struttura ospedaliera equivale a condannarli a non poter trovare sollievo alla sofferenza fisica, e se non è questa la forma più deprecabile di tortura, allora non so proprio cosa lo sia.

 

La cosa più buffa di tutta questa farsa che è il diritto internazionale sta in una norma a dir poco esilarante: «Alla materia dei diritti umani si applica la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni: la violazione delle norme consuetudinarie sui diritti umani non può farsi valere sul piano internazionale finché esistono nell’ordinamento dello stato offensore rimedi adeguati ed effettivi per eliminare l’azione illecita o per fornire all’individuo offeso una congrua ripartizione». Praticamente i palestinesi, prima di cercare di far rispettare i propri diritti sul piano internazionale, dovrebbero riferirsi al governo israeliano per chiedere giustizia.

Me la figuro una cosa tipo uno sfollato palestinese che arriva a Tel Aviv e bussa alle porte del comune cittadino dicendo: «Salve, devo consegnare in tribunale questo modulo per vedere rispettato il mio diritto alla vita, all’autodeterminazione e alla salute. Sa indicarmi l’ufficio giusto?».

Immagino una cosa surreale come questa perché colui che dovrebbe farsi carico di tutelare il proprio popolo, ovvero il presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha più volte espresso parole di condanna nei confronti di Hamas – unico, vero fronte di resistenza alla colonizzazione – mentre lascia che Israele commetta un vero e proprio genocidio. Nulla è stato fatto da Abbas per mobilitare la comunità internazionale così da avviare dei veri e propri negoziati per la pace; niente è stato tentato per mobilitare i Paesi musulmani in difesa dei propri fratelli palestinesi.

 

Lo statuto della Corte Penale Internazionale agli art. 5-8 definisce il genocidio, i crimini conto l’umanità, i crimini di guerra e i crimini contro la pace.

Si definisce «genocidio» la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; sono considerati crimini contro l’umanità l’omicidio, lo sterminio, la riduzione forzata in schiavitù, la deportazione o trasferimento forzato di popolazioni, la privazione di libertà “in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale”, la tortura, la violenza carnale, (…) le persecuzioni per motivi politici, razziali, religiosi, di sesso, ecc., la sparizione forzata di persone, l’apartheid ed altri atti disumani o simili, capaci di causare sofferenze gravi di carattere fisico o psichico; tra i crimini di guerra figurano la presa di ostaggi e gli attacchi intenzionalmente diretti contro popolazioni ed obbiettivi civili, ecc.; per quanto riguarda i crimini contro la pace, essi sono strettamente connessi all’aggressione da parte di uno Stato nei confronti di un altro, ma la definizione di «aggressione» è cambiata nel corso del tempo.

Secondo Sabino Cassese (giurista e ex giudice della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana) l’aggressione è qualificabile come crimine internazionale quando è scatenata su larga scala o produce gravi conseguenze. Tutto ciò che avete letto nelle definizioni sopraccitate, Israele lo ha e lo sta perpetrando nei confronti dei palestinesi, persino la pratica più infame: lo stupro indiscriminato ai danni di uomini, donne e bambini, com’è ampiamente documentato da alcuni video mandati in onda da una tv israeliana, le cui immagini mostrano i soldati dell’IDF impegnati in tale occupazione.

Questo non deve stupire, perché in Israele sono anche state organizzate diverse manifestazioni per chiedere al governo di rendere lo stupro dei palestinesi legale.

 

È facile comprendere perché la Corte Penale Internazionale abbia deciso di emettere, il 21 novembre 2024, due mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, ora ex comandante delle IDF israeliane.

Lo Statuto di Roma prevede un generale obbligo di cooperazione in capo agli Stati Parte. Tuttavia, nel caso in cui il mandato di arresto riguardi cittadini di uno Stato non-Parte (Israele, in questo caso), una clausola del trattato prevede che la Corte non possa procedere con una richiesta di cooperazione che costringerebbe lo Stato ricevente ad agire in modo incompatibile con gli obblighi in materia di immunità diplomatica. Insomma, gli Stati che hanno sottoscritto il Trattato di Roma possono tranquillamente non procedere all’arresto di Netanyahu senza violare l’accordo, quand’anche questo si trovi sul loro territorio.

 

Tra i Paesi che non riconoscono la giurisdizione della Corte Penale Internazionale ci sono: Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita e Turchia; ma come la mettiamo con tutti i Paesi firmatari che non stanno muovendo un dito per impedire gli attacchi di Israele a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria e in Yemen? Qual è lo scopo del diritto internazionale se esso vale solo per i Paesi firmatari?

 

A questo punto vi starete chiedendo a cosa serva la Corte Penale Internazionale se le sue decisioni non sono utili a porre un freno alle azioni di Netanyahu. È presto detto: la codificazione nell’ordinamento internazionale di un corpus di principi del diritto penale è essenziale per la necessaria integrazione dei diversi sistemi nazionali, così da rispettare il principio nullum crimen sine lege. Questo significa che se questa corte e le sue leggi non esistessero affatto, oggi non potremmo neanche dire che quello che sta compiendo Israele sia qualcosa di classificabile come un crimine. È poca cosa, lo so. Si può dire che questo sia meglio che niente? Non saprei… E, comunque sia, la competenza della Corte è complementare con le giurisdizioni penali nazionali, quindi va da sé che gli Stati che non ne hanno ratificato lo statuto possano decidere di non collaborare per porre in essere le decisioni della Corte.

 

Pensare che nel 1950 lo stato di Israele ha adottato una legge particolare: la Crime of Genocide, che ha provveduto ad adattare l’ordinamento interno alla Convenzione sul genocidio e secondo la quale «una persona che abbia commesso fuori da Israele un atto di offesa sotto questa legge, sarà perseguito e punito in Israele come se fosse stato commesso sul territorio». In sostanza, se qualcuno viola la legge al di fuori dello Stato, Israele può comunque punirlo in virtù di una sua legge ordinaria. Ça va sans dire che la sopraccitata legge vale solo se i crimini che si configurino come genocidio vengono perpetrati contro il popolo di Israele e non contro altri popoli.

 

Usuale è la pratica di creare dei tribunali internazionali ad hoc con competenze ben definite, soprattutto ratione loci (per quanto riguarda il luogo in cui si è svolto il fatto) e ratione temporis (per l’aspetto temporale).

È accaduto nel caso del Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (ICTY), istituito in base alla risoluzione 827 del 1993 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; della Corte di Bosnia ed Erzegovina (BiH); del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR), istituito in base alla risoluzione 955 del 1994 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; e della Eritrea Ethiopia Claims Commission, che si differenzia dai sopracitati tribunali perché trova la propria fonte nel consenso espresso dalle parti di un contratto internazionale.

Nel caso della Corte Speciale per la Sierra Leone (2002) è stato istituito il primo Tribunale penale misto, che si colloca tra la Corte penale e tra i tribunali internazionali ad hoc, come per quanto riguarda l’Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia (1997).

Esistono anche dei collegi misti chiamati Panels Speciali, come quello istituito per gravi crimini a Timor Est nel 2002 e i Regulation 64 Panels per il Kosovo nel 2003. Un Tribunale Speciale per il Libano venne istituito, sempre dal Consiglio di Sicurezza ONU nel 2005; come anche un Tribunale Speciale Iracheno nel 2003, su decisione dalla Coalition Provisional Authority, al termine dell’azione militare congiunta anglo-americana sul territorio. Quindi, dove conveniva agli USA e ai suoi alleati, l’ONU non ha esitato a creare un tribunale speciale, anche se l’Iraq non risulta tra i firmatari dello Statuto di Roma.

 

Secondo The Lancet il numero di oltre 45mila vittime riportato dal ministero della sanità di Gaza è una notevole sottostima delle perdite palestinesi causate della guerra di Israele. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica, infatti, a causa delle difficili condizioni in cui versano le strutture di soccorso della Striscia, il 40% dei morti potrebbe mancare dai registri.

Dunque, nonostante in Palestina siano già stati uccisi migliaia di civili, l’ONU non ha ancora deciso di fare ricorso ad alcuno degli strumenti a sua disposizione per porre fine alla pulizia etnica perpetrata da Israele.

La più recente Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (n.2728, adottata il 25 marzo 2025) ha solamente chiesto un immediato cessate il fuoco su Gaza durante il mese di Ramadan (che Israele non ha rispettato) ed il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi di Hamas.

Dei quasi 4.000 ostaggi palestinesi (tra i quali anche numerosi bambini) arbitrariamente detenuti nelle prigioni-lager israeliane da anni – e nella cui liberazione risiede il motivo dell’attacco del 7 ottobre 2023 – non si fa il minimo accenno. Ricca è la raccolta di video che mostrano i prigionieri palestinesi liberati dopo mesi, o addirittura anni, di detenzione psicologicamente e fisicamente devastati; come altrettante sono le immagini che mostrano gli ostaggi israeliani liberati da Hamas in buone condizioni e che spesso hanno espresso parole di gratitudine per come i carcerieri si fossero presi cura di loro.

 

«La comunità internazionale riconosce i diritti umani come diritti essenziali che appartengono ad ogni persona e rappresentano gli standard minimi senza i quali nessun individuo può sopravvivere e svilupparsi degnamente. Sono innati alla persona umana e sono inalienabili e universali.»

Le Nazioni Unite hanno affermato tale principio fondamentale con l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948.  Tuttavia, essa non ha valore vincolante nell’ambito delle norme di diritto internazionale; per questo motivo le Nazioni Unite hanno, nel tempo, tentato di adottare numerosi strumenti di tutela internazionale con valore giuridico vincolante, che rappresentano il contesto giuridico internazionale di riferimento nell’ambito della tutela e della promozione dei diritti umani.

 

I principali strumenti giuridici internazionali di riferimento possono essere considerati: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e i sei principali trattati internazionali in materia di diritti umani; il Patto internazionale sui diritti civili e politici; il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; la Convenzione contro la tortura, e ogni altra forma di trattamento o punizione crudele, inumano o degradante; la Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale; la Convenzione internazionale contro ogni forma di discriminazione contro la donna; e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

Ognuno di questi trattati rappresenta uno strumento giuridico importante per imporre agli Stati l’adempimento degli obblighi internazionali assunti in tema di protezione e promozione di diritti umani nei rispettivi stati, ed ogni nazione del mondo ha ratificato almeno uno di questi trattati internazionali, e molte ne hanno ratificati la maggior parte.

 

Ad oggi possiamo affermare che Israele ha sistematicamente violato, dal 1948 ad oggi, ogni singolo articolo contenuto in ogni singola convenzione, ma questo è del tutto irrilevante: perché Israele non ha firmato nessuno di questi documenti.

Occorre domandarsi perché quasi nessuno degli innumerevoli Stati che hanno ratificato i suddetti trattati si sia esposto per denunciare la condotta contraria ai principi fondamentali della società civile messa in opera da Israele nei confronti dei palestinesi.


Come scrive Chantal Meloni (professoressa associata di diritto penale e international criminal law dell’Università di Milano): «già venti anni fa, a fronte del tentativo da parte dell’Autorità palestinese di attivare la Corte internazionale di giustizia (Cig) – il massimo organo giudiziario dell’ONU che ha competenza a giudicare sulle responsabilità degli Stati per avere una pronuncia in merito alle conseguenze della costruzione di un muro da parte di Israele – la posizione di alcuni Stati europei fu di opposizione alla possibilità stessa che la Corte si pronunciasse attraverso un parere in questa situazione».

«L’Italia, in particolare, dichiarò: “Il Governo è fermamente convinto che la Corte debba rifiutarsi di rispondere alla questione posta dalla risoluzione dell’Assemblea Generale dell’8 dicembre 2003, relativa alle conseguenze derivanti dalla costruzione del muro da parte di Israele, la Potenza occupante, nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est e dintorni”.»

«Nonostante le pressioni e le opinioni contrarie, la Corte internazionale di giustizia affermò la sua giurisdizione, e il parere consultivo (Advisory Opinion) del 2004 stabilì alcuni punti fondamentali, tra cui il fatto che il muro (o barriera di separazione, fence) per come costruito e concepito da Israele (in annessione di territorio palestinese occupato) era contrario al diritto internazionale e doveva essere smantellato. La Corte ha tracciato chiare linee per bilanciare le legittime istanze di sicurezza di Israele e la tutela dei diritti umani della popolazione palestinese occupata.»

«Fondamentale è anche ricordare la conclusione della Corte rispetto agli obblighi degli Stati terzi di fronte a tale situazione illegale creata da Israele: “Tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere la situazione illegale risultante dalla costruzione del muro e di non prestare aiuto o assistenza per il mantenimento della situazione creata da tale costruzione; tutti gli Stati parti della Quarta Convenzione di Ginevra (relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949) hanno inoltre l’obbligo, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, di assicurare il rispetto da parte di Israele del diritto umanitario internazionale, come incarnato in tale Convenzione» (ICJ, Advisory Opinion, 9 luglio 2004).”»

Quindi, un obbligo per le Nazioni è stato formalmente sancito, ma a nessuno sembra importare.

 

«Non solo tale parere non ha avuto seguito: negli anni successivi, com’è noto, il muro ha continuato ad avanzare e il territorio palestinese ha continuato ad essere annesso e colonizzato da Israele anche mediante il trasferimento della propria popolazione, che fonti ONU stimano ammonti ormai a oltre 700.000 coloni, includendo Gerusalemme est (che è parte del territorio palestinese occupato, come riconosciuto dal diritto internazionale).»

«Tra l’altro, gli Stati Uniti e i nostri Stati europei hanno continuato a ricompensare economicamente Israele anche mediante la stipula di trattati commerciali privilegiati con l’Unione Europea, in spregio alla, cosiddetta Human rights clause contenuta negli accordi bilaterali dell’Unione. Questa clausola riflette gli obblighi dell’UE di rispettare e promuovere le norme sui diritti umani nell’azione esterna. La clausola sui diritti umani, introdotta nei trattati bilaterali e di cooperazione della Comunità Europea (CE) dal 1995, offrirebbe uno strumento adeguato a sanzionare gravi e persistenti violazioni dei diritti umani, ma nessuno Stato europeo ha deciso di utilizzarla nei confronti di Israele.»

 

Volendo guardare al passato, come scrive ancora Meloni: «Nel gennaio 2009 (a seguito della devastante operazione Piombo Fuso sulla Striscia di Gaza) l’Autorità palestinese presentò una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte penale internazionale ai sensi dell’art. 12.3 dello Statuto di Roma (per intenderci, lo stesso meccanismo su cui si basa la giurisdizione della Corte Penale Internazionale in Ucraina), con l’intento di attivare indagini e procedimenti internazionali sui gravi crimini commessi (da entrambe le parti), come accuratamente documentato in decine di report indipendenti tra cui anche una Commissione di altissimo profilo istituita dall’ONU. Tale report aveva tra l’altro concluso nel senso che il blocco di Gaza, imposto nella sua forma più estrema dal 2007 a seguito della presa di potere di Hamas, costituisse una “punizione collettiva della popolazione civile”. Nello stesso senso si sono espressi organismi dell’ONU e il Comitato della Croce Rossa Internazionale».

 

Sull’argomento Chantal Meloni ha pubblicato un libro intitolato Is there a Court for Gaza?, edito da Springer nel 2012. «A oltre dieci anni di distanza la domanda è ancora attuale.»

 

«Ignorare le istanze di un intero popolo basate sul diritto all’autodeterminazione (principio di ius cogens) e lasciare che i loro diritti umani, a partire dal diritto alla vita e alla dignità umana, siano sistematicamente violati, al contempo garantendo impunità incondizionata ad Israele, non è mai stata una via volta al raggiungimento della pace.»

 

Il 2 aprile 2025 in un lungo post pubblicato su Instagram, Amnesty International scrive: «La visita del Primo Ministro Netanyahu in Ungheria dovrebbe essere vista come un cinico tentativo di indebolire la Corte Penale Internazionale e il suo lavoro, ed è un insulto alle vittime di questi crimini che si rivolgono alla Corte per ottenere giustizia. Qualsiasi viaggio di Netanyahu in uno stato membro della CPI che non si concluda con il suo arresto incoraggerebbe Israele a commettere ulteriori crimini contro i palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati. Amnesty International chiede al Procuratore della CPI di indagare e perseguire tutti i crimini di Israele. L’Ungheria dovrebbe fare lo stesso applicando i principi della giurisdizione universale. I leader, come Netanyahu, accusati dalla CPI di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, non devono più godere della prospettiva di un’impunità perpetua». Il titolo di questo post sostiene che: «Gli Stati parte sono legalmente obbligati a far rispettare i mandati di arresto della Corte Penale Internazionale», ma – come ho spiegato – purtroppo non è così. L’adesione al Patto di Roma non è vincolante per gli Stati nei confronti di una persona il cui Stato non abbia ratificato il trattato, come nel caso di Israele.

 

Ciò che sta accadendo dal 7 ottobre 2023 ci rende inequivocabile l’impotenza del diritto internazionale dinanzi alle terribili azioni di Israele che, oggi più che mai, trovano supporto nell’alleato americano e nell’indifferenza del resto dei governi mondiali.


Parte di questo pezzo, corredato di un commento del mio amico Massimiliano Vino (professore laureato in Storia e analista geopolitico per "Rivista Domino"), verrà pubblicato nella sua newsletter Calici di Vino, in uscita martedì 15 aprile 2025.

 


FONTI

  • Codice di diritto internazionale umanitario (Greppi Edoardo, Venturini Gabriella);

  • Diritto Internazionale (Benedetto Conforti e Massimo Iovane);

  • Il diritto internazionale e il problema della pace (Giorgio Del Vecchio);

  • I principi fondamentali di funzionamento nelle politiche dell’Unione Europea (dagli appunti delle lezioni di Alessandra Lang, Professore Associato del Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico – Politici dell’Università degli Studi di Milano);

  • Un articolo di Chantal Meloni (professoressa associata di diritto penale/international criminal law nell’Università Statale di Milano).



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