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Immagine del redattoreAlice Rondelli

La sostenibilità di un diritto

I nuovi mercati basati sui Sustainable Development Goals - promossi delle Nazioni Unite - saranno protetti dalle legislazioni dei singoli Stati e progettati dagli stessi partner che traggono profitto e controllano la nuova economia globale. Ma in cosa consiste davvero questa nuova Global Public-Private Partnership?

Fonte: Sustainable Debt Slavery, scritto da Iain Davis e Whitney Webb per Unlimited hangout.


Ph. Abandoned Place - Sanatorio Femminile Gaetano Bonoris, 2019 (Alice Rondelli)


L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite nel 2015, fornisce un progetto condiviso per la pace e la prosperità per le persone e il pianeta, ora e in futuro. Sono diciassette i Sustainable Development Goals (SDG): un appello urgente all’azione di tutti i paesi – sviluppati e in via di sviluppo – in un partenariato globale. Essi riconoscono che porre fine alla povertà e ad altre privazioni debba andare di pari passo con strategie che migliorino la salute e l’istruzione, riducano le disuguaglianze e stimolino la crescita economica, il tutto affrontando il cambiamento climatico e lavorando per preservare i nostri oceani e le nostre foreste. A patrocinare l’agenda è il Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Unite e tra i principali sostenitori e sviluppatori delle politiche relative agli SDG ci sono gli ex dirigenti di alcune delle istituzioni finanziarie più predatorie nella storia del mondo, da Goldman Sachs a Bank of America a Deutsche Bank. È quindi necessario domandarsi se gli interessi di questi personaggi non risiedano dove sono sempre stati: ovvero in un modello economico orientato al profitto basato sulla schiavitù del debito.

L’obiettivo dichiarato dagli SDG 17 delle Nazioni Unite è, in parte, quello di: «migliorare la stabilità macroeconomica globale, anche attraverso il coordinamento e la coerenza delle politiche. (…); rafforzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile, integrandolo con partenariati multilaterali (…) per sostenere il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in tutti i paesi (…); incoraggiare e promuovere efficaci partnership pubblico-privato, basandosi sull’esperienza e sulle strategie di finanziamento degli stessi». Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) ha commissionato un documento che definisce i partenariati multilaterali come: «partnership tra imprese, ONG, governi, Nazioni Unite e altri attori.» Queste partnership multi-stakeholder starebbero lavorando per creare una stabilità macroeconomica globale come prerequisito per l’attuazione degli SDG. Tuttavia, proprio come il termine “organizzazione intergovernativa”, anche il significato di “stabilità macroeconomica” è stato trasformato dall’ONU e dalle sue agenzie specializzate. Mentre la stabilità macroeconomica significava «piena occupazione e crescita economica stabile, accompagnata da bassa inflazione», le Nazioni Unite hanno annunciato che questo non è ciò che significa oggi. Secondo l’organizzazione, infatti, la crescita economica oggi deve essere “intelligente” per soddisfare i requisiti degli SDG. Per fare un esempio: il cambiamento climatico è visto non solo come un problema ambientale, ma come un «serio problema finanziario, economico e sociale». Pertanto lo “spazio fiscale” deve essere progettato per «finanziare il coordinamento politico e la coerenza politica» necessari per evitare il profetizzato disastro. L’obiettivo primario della politica fiscale era quello di mantenere l’occupazione e la stabilità dei prezzi e incoraggiare la crescita economica attraverso l’equa distribuzione della ricchezza e delle risorse; oggi, invece, mira a raggiungere «traiettorie sostenibili per entrate, spese e deficit» e ciò richiede un aumento della tassazione e dei prestiti, indipendentemente dall’impatto che ciò ha sull’attività economica reale. Secondo la Banca Mondiale, tuttavia, i deficit di spesa e l’aumento del debito non sono un problema, perché il mancato raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile sarebbe molto più inaccettabile e aumenterebbe ulteriormente il debito. Qualsiasi importo di debito sovrano può essere accumulato sul contribuente per proteggerci dal disastro economico, molto più pericoloso, che presumibilmente ci colpirebbe se gli SDG non fossero implementati rapidamente. In altre parole, le crisi economiche, finanziarie e monetarie difficilmente mancheranno nel mondo dello sviluppo sostenibile. La logica sopra delineata sarà probabilmente utilizzata per giustificare tali crisi. Questo è il modello immaginato dalle Nazioni Unite e dai suoi partner multi-stakeholder.

Quindi, possiamo tradurre così ciò che intende l’ONU con il termine “sviluppo sostenibile”: i governi tasseranno le loro popolazioni, aumentando i deficit e il debito nazionale ove necessario, per creare fondi finanziari a cui le multinazionali private, le fondazioni filantropiche e le ONG possono accedere per distribuire i loro prodotti, servizi e agende politiche basati sulla conformità agli SDG. I nuovi mercati SDG saranno protetti dalla legislazione sulla sostenibilità del governo, progettata dagli stessi partner che controllano e traggono profitto dalla nuova economia globale. C’è un termine che questi partner – che sono un amalgama mondiale di organizzazioni – usa spesso per descrivere se stesso ed è Global Public-Private Partnership (G3P). La G3P sta lavorando instancabilmente per creare le condizioni necessarie a giustificare l’imposizione sia di una governance globale, sia del suo sistema di identificazione digitale, producendo e sfruttando le crisi per rivendicare la legittimità delle soluzioni che offre.

I veri scopi degli SDG sono quelli di potenziare un regime di governance globale, sfruttando le minacce, sia reali che immaginarie, per far avanzare gli obiettivi del regime, nonché per imporre all’umanità un sistema globale di identità digitale ingiustificato, sgradito e controllato centralmente. Il target 16.9 dell’SDG del 2016 riguarda il proposito di fornire un’identità legale a tutti entro il 2030. La digital ID determinerà il nostro accesso ai servizi pubblici, ai nostri portafogli Central Bank Digital Currency (CBDC), ai nostri certificati vaccinali, al cibo e alle bevande che siamo autorizzati ad acquistare e consumare.

I diritti umani sono menzionati nove volte nella Carta delle Nazioni Unite, mentre i diritti inalienabili sono citati solamente una volta, precisamente nel preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che riconosce che «i diritti uguali e inalienabili di tutti gli esseri umani sono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Ma i diritti umani non sono niente a confronto dei diritti inalienabili, perché essi, a differenza dei primi, non ci vengono conferiti da alcuna autorità governativa: sono innati in ciascuno di noi, sono immutabili e l’unica fonte di diritti inalienabili è la Legge Naturale. Nessuno – nessun governo, nessuna organizzazione intergovernativa, nessuna istituzione umana o governante umano – può mai rivendicare legittimamente il diritto di concedere o negare i nostri diritti inalienabili. L’umanità stessa non può rivendicare alcuna autorità collettiva per concedere o negare i diritti inalienabili di ogni singolo essere umano. Secondo Treccani: «i diritti naturali sono quelli di cui ogni individuo è titolare fin dalla nascita e che trovano la loro legittimazione non nel fatto di essere riconosciuti e accettati da un governo che li concede, ma nel fatto di essere costitutivi della natura stessa dell’uomo, ad esempio il diritto alla vita e il diritto alla libertà personale». Dunque, visto che la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite si occupa esclusivamente di diritti umani, affermare che i essi siano una sorta di espressione dei diritti inalienabili è un’invenzione, una menzogna.


I diritti umani sono creati da determinati esseri umani e sono conferiti da quegli esseri umani ad altri esseri umani. Non sono diritti inalienabili e neanche qualcosa di simile ad essi.

La Global Public-Private Partnership (G3P) può promuovere un regime di governance globale più efficace, coerente, rappresentativo e responsabile, che dovrebbe tradursi in ultima analisi in una migliore governance nazionale e regionale, e nella realizzazione dei diritti umani e nello sviluppo sostenibile. Questo regime, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, dovrà garantire che i beni comuni globali siano preservati per le generazioni future. L’ONU si definisce una Global governance e sta arbitrariamente assumendo l’autorità di prendere il controllo di ogni cosa, ovvero i beni comuni globali, compresi gli esseri umani, sia facendo rispettare la sua Carta, sia realizzando il suo programma di sviluppo sostenibile.

Nel 2018, le Nazioni Unite hanno identificato l’INTERPOL come l’organizzazione delle forze dell’ordine che era in una posizione unica per essere il partner di attuazione di una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030. Molti degli obiettivi di polizia globale dell’organizzazione richiedono il tipo di sorveglianza che può essere attuata più facilmente introducendo le ID digitali e le CBDC. Uno degli obiettivi di polizia globale, ad esempio, si concentra sul contenimento dei mercati illeciti e contiene due sotto-obiettivi, ovvero: costruire meccanismi per rilevare i mercati illeciti emergenti e rafforzare la capacità di indagare e prevenire il commercio illecito. Questo tipo di lavoro richiede, ovviamente, strumenti in grado di condurre una sorveglianza finanziaria di massa e l’INTERPOL deve ottenere l’autorità per accedere a quel sistema. Non sorprende, dunque, che essa abbia già collaborato con una varietà di società di identificazione digitale biometrica, due delle quali (Idemia e Onfido) hanno svolto un ruolo importante nel facilitare i passaporti per i vaccini durante la pandemia da Sars-CoV-2.

La costruzione di uno stato di polizia globale passa attraverso intenti onorevoli: sconfiggere la povertà, promuovere l’educazione scolastica, assicurare sistemi sanitari efficaci, consentire l’accesso al mondo del lavoro, rendere l’energia sostenibile conveniente per tutti, creare città a misura d’uomo… Insomma, ci viene paventata la prospettiva di un maggiore benessere e assicurato che la Global Public-Private Partnership già lavora duramente affinché quelle speranze vengano realizzate, tuttavia c’è un prezzo da pagare e il prezzo è il nostro diritto alla libertà personale.


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