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Immagine del redattoreAlice Rondelli

INTERVISTA - Sotto l’ombra di un bel fior

Viaggio nella storia dei comix, intervista alla redazione di ANTIFA!zine e una riflessione sull'importanza di schierarsi contro ogni forma di prevaricazione.

Se si pensa al fumetto come a una semplice “narrazione per immagini” dove il testo non è strettamente necessario, la sua prima traccia si può far risalire agli albori dell’espressività umana, con i graffiti preistorici. Con un balzo in avanti, troviamo i dipinti egizi, ove le figure poste in sequenza trasmettevano un messaggio, raccontavano le prodezze del faraone, di un defunto, o semplicemente alcuni momenti della vita quotidiana. Nell’arte medievale era consuetudine l’utilizzo dei disegni a supporto della narrazione, con lo scopo di renderli fruibili anche alle vaste moltitudini di illetterati: basti pensare alle vetrate istoriate tipiche delle cattedrali gotiche, o alle illustrazioni della Biblia Pauperum.

Tuttavia bisogna arrivare al XIX secolo per poter conoscere colui che viene considerato il primo vero fumettista, il noto illustratore svizzero Rodolphe Töpffer. Nel 1827 Töpffer realizzò una storia, composta da immagini in successione accompagnate da didascalie, dal titolo: Histoire de M. Vieux Bois, anche se la prima vera pubblicazione avverrà qualche anno più tardi, nel 1883, quando grazie ai consigli di Goethe, si convinse a far pubblicare l’Histoire de M. Jabot (1831), nel quale Töpffer presenta una specie di giullare stupido e vanitoso che, per introdursi nel bel mondo, ne scimmiotta goffamente i costumi.

Tuttavia, la nascita del fumetto in senso moderno viene fatta coincidere con la pubblicazione nell’edizione domenicale del New York World (quotidiano statunitense pubblicato tra il 1860 e il 1931 ) di una serie di vignette umoristiche, a piena pagina, intitolate Down Hogan’s Alley (1895), opera del disegnatore americano Richard Felton Outcault. Il soggetto di queste tavole è una strada che si trova in un tipico quartiere di immigrati, ed è la loro vita che Outcault rende oggetto di un sarcasmo dissacrante.  

Data la sua natura di mezzo espressivo semplice e accattivante, il fumetto trova ben presto facili vie di diffusione dagli Stati Uniti d’America e, successivamente, in altri Paesi del mondo. La portata delle strips si accentua a partire dal 1909, con la nascita dei Syndicates, agenzie di produzione – impostate come monopoli – specializzate nella distribuzione.

 

Per vedere sbocciare i comics nella controcultura bisognerà aspettare più di mezzo secolo.

I fumetti underground e alternativi americani degli anni Sessanta erano a metà strada tra l’avanguardia e la cultura di massa. I cosiddetti “comix underground” furono parte integrante della controcultura giovanile fino alla fine degli anni Settanta e furono sostituiti nei vent’anni successivi dagli “alternative comics”, che erano vagamente collegati alla sottocultura indie di quell’epoca. Tuttavia, essi non sono stati considerati degni di essere incorporati nel campo della storia dell’arte, cosa che rappresenta un ottimo esempio del privilegio della cultura alta rispetto alla cultura di massa o popolare. Si tratta di una gerarchia che è stata messa in discussione e sfatata negli ultimi tre decenni ma che rimane ancora in vigore, anche se in forma attenuata. Nonostante questa continua mancanza di riconoscimento, i fumetti underground e alternativi hanno valori estetici propri che sono parti significative della cultura visiva contemporanea e che possono essere utilizzati per illuminare aspetti della società e della cultura non generalmente accessibili all’arte alta.

 

La migliore indagine sui fumetti underground è Rebel Visions: The Underground Comix Revolution, 1963–1975 (edito nel 2002) di Patrick Rosenkranz, un’indagine storica arricchita da molti resoconti in prima persona; poi c’è Alternative Comics: An Emerging Literature (2005) di Charles Hatfield, uno studio accademico più analitico che, però, non fornisce un’indagine storica completa sui fumetti alternativi; e infine il catalogo di Kirk Varnedoe e Adam Gopnik per la mostra del MoMA del 1990, intitolata High and Low: Modern Art and Popular Culture, nel quale gli ampi saggi forniscono storie illuminanti circa le interazioni dei fumetti con l’arte moderna.

 

I comix underground (scritto con una “x” come segno del loro contenuto illecito) erano strettamente legati alla controcultura giovanile della fine degli anni Sessata e dell’inizio degli anni Settanta.

Il movimento prese davvero il via quando Robert Crumb pubblicò Zap Comix #1 a San Francisco nel 1968, vendendo copie da una carrozzina all’angolo tra Haight e Ashbury. Da quel momento in poi, i comix underground divennero un punto fermo della controcultura giovanile, venduti principalmente negli head shop (negozi che vendevano pipe e bong per fumare erba). Apparte Zap – fiore all’occhiello non ufficiale dell’underground, che con il secondo numero divenne un’antologia – pochi titoli underground durarono più di due o tre numeri; molti erano one-shot e avevano creato un’infrastruttura commerciale vivace, ma instabile. Il genere base dell’underground era l’umorismo, costituito principalmente da satira infarcita di sesso e droga, di gran lunga gli argomenti più popolari. La derisione dei costumi della classe media e della polizia erano temi comuni, eppure questi fumettisti erano diffidenti nei confronti della politica radicale e si allineavano più strettamente con lo stile di vita hippy.

The Fabulous Furry Freak Brothers di Gilbert Shelton è stato uno dei titoli più longevi e più venduti. La serie seguiva le disavventure di tre fratelli nella loro perenne ricerca di droga. Sebbene il fumetto si basasse su un umorismo piuttosto rozzo, c’era un orientamento generale anti-establishment, corroborato da periodiche critiche all’America tradizionale. Ad esempio, un cartello sull’edificio in primo piano in copertina, recitava: «America: Love It Or Leave It», una critica implicita al patriottismo sciovinista, mentre il progetto di edilizia residenziale sudicia e disseminata di rifiuti alludeva alla povertà dei quartieri popolari delle città.


Fabulous Furry Freak Brothers

I comix hanno raggiunto il loro pubblico attraverso manifesti di concerti e illustrazioni per giornali e riviste underground. Per fare un esempio, un disegno di Kim Deitch fu utilizzato per annunciare il Central Park Be-In del 1968 sulla copertina di The East Village Other (organo mediatico centrale della controcultura). Il Be-In era un raduno di decine di migliaia di persone sul modello dell’evento omonimo del gennaio 1967, che era servito da prologo alla Summer of Love.


Central Park Be-In

Mentre la copertina di Be-In di Deitch mostra il volto di “pace e amore” della controcultura, The Flyin' Fuckin' A Heads Stop For Lunch di Steve Clay Wilson mostra il rovescio oscuro della medaglia. La controcultura nei suoi primi anni alimentò una predilezione per le bande di motociclisti, in particolare gli Hell’s Angels, che erano visti come spiriti liberi e ribelli contro il conformismo dell’establishment, almeno fino a quando non uccisero un membro del pubblico mentre fornivano sicurezza per il concerto rock gratuito Altamont Free Concert, evento ampiamente riconosciuto come la fine del periodo utopico della controcultura hippy.


The Flyin' Fuckin' A Heads Stop For Lunch

Un altro modo di salire alla ribalta, fu quello di creare poster psichedelici di concerti, come quello di Victor Moscow del 1967 per un concerto all’Avalon Ballroom di San Francisco; essi combinavano influenze dell’Optical Art, del Surrealismo, dell’arte popolare e dell’Art Nouveau per produrre una controparte perfetta dell’acid rock di San Francisco.



Avallon Ballroom

Tuttavia, molte delle tendenze dell’avanguardia contemporanea erano in contrasto con lo spirito del comix underground, in particolare con l’atteggiamento freddo, distaccato e inespressivo del minimalismo e dell’arte concettuale, ma condivideva con la controcultura nel suo insieme parte degli eventi sul territorio, il pop e la performance art. Sebbene i loro stili e mezzi fossero piuttosto diversi, la copertina di Kim Deitch per Central Park Be-In era parte della stessa arena culturale di Anti-War Naked Happening e Flag Burning di Yayoi Kusama del 1968, con entrambi i lavori che cercano una liberazione radicale del corpo e della sessualità.

 


Anti-War Naked Happening

Il fumettista underground più popolare, e anche il più talentuoso, originale e problematico dell’epoca, fu Robert Crumb. Il punto di forza del suo lavoro era una forma di satira particolarmente aspra, i cui obiettivi includevano non solo la classe media e la polizia, ma anche il resto della controcultura, inclusi alcuni guru della New Age. Una delle critiche più acute di Crumb all’establishment della classe media fu Whiteman, che raffigura un uomo bianco di mezza età nel mezzo di un esaurimento nervoso. L’idea che voleva comunicare riguardava il fatto che l’establishment bianco fosse sessualmente represso e che la sua facciata di correttezza nascondeva sé interiori tanto primordiali e amorali quanto quelli degli hippy che tanto disprezzava. Sebbene siano apparse ripetutamente immagini razziste nel lavoro di Crumb, esse erano di gran lunga superate dai suoi numerosi fumetti che descrivevano la violenza nei confronti delle donne. Il sessismo era, infatti, una caratteristica generale della controcultura degli anni Sessanta, il cui livello nei comix underground può apparire piuttosto scioccante.


Whiteman

L’immaginario sessista di Crumb e di altri fumettisti underground non è passato incontestato. La sua risposta alla critica femminista dei suoi fumetti fu che egli stava esplorando i contenuti inquietanti del suo inconscio e che non necessariamente approvava le immagini che ne emergevano. Sosteneva anche che quelle immagini costituivano una critica al razzismo e al sessismo, proprio attraverso la descrizione di quegli atteggiamenti in tutta la loro ripugnanza. Crumb, inoltre, volle controbattere alla sua maniera in un fumetto del 1971 intitolato: A Word to You, Feminist Women, che è uno dei suoi lavori più interessanti e rivelatori. Il testo è densamente stratificato, ma lo sintetizzerò così: «(…) Non nego che le mie vignette contengano moltissimi atti ostili e spesso brutali contro le donne! (…) Non sto sostenendo che gli uomini dovrebbero fare queste cose brutte alle donne! (…) ma insistere affinché un artista soffochi i propri istinti e disegni (…) è puro totalitarismo! Dittatura! E pura stupidità, per giunta!! (…) Tutto quello che sto difendendo è la libertà di espressione. (…) Beh, ascoltate, stupide ragazze, disegnerò quello che cazzo mi pare (…) e se non vi piace, andate a fanculo!!».

 

Nel 1974 i comix underground americani subirono una precipitosa recessione, derivante da una combinazione di fattori: il declino della controcultura, una sentenza della Corte Suprema che affidò le decisioni sulla censura alle giurisdizioni locali e un aumento del costo della carta. Le testate underground continuavano ad avanzare, ma il movimento era chiaramente in declino. A raccoglierne l’eredità furono i fumetti alternativi, che apparvero per la prima volta a metà degli anni Settanta e crebbero di numero negli anni Ottanta, divenendo mainstream negli anni Novanta e ottenendo la loro consacrazione negli anni Duemila.

I fumetti alternativi sono caratterizzati da narrazioni più lunghe e da personaggi più complessi con personalità pienamente sviluppate e temi sofisticati. Molti di essi somigliano più a dei romanzi, le cui complessità possono essere apprezzate solo attraverso una lettura approfondita.

 

American Splendor di Harvey Pekar è stato lanciato nel 1976 e può essere considerato il primo fumetto alternativo. Pekar era uno scrittore, non un artista, e ha lavorato con molti disegnatori nel corso della lunga storia di American Splendor, il migliore dei quali fu senza dubbio Robert Crumb.

L’umiliazione rituale delle coppie di sposi nella prima Francia moderna apparve per la prima volta in Eightball di Daniel Clowes tra il 1989 e il 2004. I personaggi erano stereotipi semi-identificabili che compievano azioni che non si adattavano al loro profilo, e poi altre azioni che non si adattavano all’azione precedente, e così via.

Tra il 1980 e il 1991 si distinse la rivista Raw condotta e pubblicata da Art Spiegelman e da sua moglie Françoise Mouly. Si trattava di un prodotto colto, pensato per il pubblico intellettuale newyorkese, che introduceva un discorso sperimentale a fumetti. Sulla rivista venne pubblicato il racconto Maus, che ha vinto il Premio Pulitzer per la letteratura. Spiegelman  raccontò la storia del padre, un ebreo tedesco che aveva vissuto la guerra e la deportazione ad Auschwitz. Il fumetto divenne, così, una forma di espressione artistica con cui un autore comunica quello che prova e pensa.



Raw

Maus

 

Come i fumetti mainstream e underground, i fumetti alternativi erano fortemente dominati da disegnatori uomini, una situazione che si è attenuata nel ventunesimo secolo. Alison Bechdel, una delle fumettiste più acclamate dalla critica, si è affermata con Dykes to Watch Out For, fumetto apparso su giornali gay dal 1983 al 2008). Nei suoi lavori le verità sottilmente divergenti della vita, dell’arte e della memoria si compenetrano inestricabilmente, negando la possibilità di ogni verità oggettiva: tutto è gioco della memoria e del desiderio.

 

A partire dagli anni Novanta la produzione di fumetti a larga diffusione ha offerto ben poche novità. Dal duemila la linea degli autori americani più interessanti si è fatta personalistica e autobiografica e questa tendenza si ripercorre anche fuori dai confini statunitensi.


In America Latina, l’Argentina è stato il Paese che più ha contribuito all’evoluzione del fumetto. Nel 1824, Francisco de Paula Castañeda, realizzò una serie di vignette di stampo umoristico- politico che criticavano la figura del re di Spagna e la sua gestione delle colonie.

Seguirono, negli anni Venti, le storie di conventillo, che si svolgevano nei quartieri popolari e raccontavano piccoli scenari di vita degli immigrati che si adattavano a vivere, chi meglio chi peggio, nel loro nuovo Paese: gli Stati Uniti.

La comparsa de El Eternauta di Oesterheld, una grande saga fantascientifica del 1957, segnò una svolta radicale. Oesterheld esprimeva tutta l’anima politica e morale del fumetto argentino attraverso storie che parlavano di umanità, di oppressione e di rivolta tanto da risultare scomodo ai generali dell’ennesimo golpe e finire desaparecido nel 1977.

La grande scuola argentina si esaurì con gli anni novanta, forse soccombendo all’imperialismo culturale dei fumetti provenienti dagli Stati Uniti e dal Giappone.

 

Un lavoro molto utile a delineare la storia del fumetto italiano è quello di Giovanna Lo Monaco (Ricercatrice presso il Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letterature e Psicologia dell’università di Firenze), intitolato: “Controfumetto in Italia negli anni Sessanta e Settanta”.

Nel 1965 Umberto Eco sottolineava che se certamente il fumetto deve essere valutato come genere letterario, non è possibile farlo prescindendo dal circuito di distribuzione e di consumo in cui si inserisce e che, di conseguenza, esso va giudicato in un sistema di ‘lettura’ – e quindi anche di creazione – diverso.

Alcuni animatori della Neoavanguardia trovarono nel fumetto un campo di sperimentazione ideale in cui elaborare inedite forme di interrelazione tra testo e immagine, in funzione di attrito rispetto ai nuovi mass media e di contestazione delle logiche commerciali, definendo percorsi di ricerca che incontrano, sul piano degli intenti, le strategie dei movimenti giovanili della controcultura e che utilizzano, altresì, gli stessi strumenti di produzione e distribuzione.

Così come a livello internazionale si svilupparono forme organizzate di underground press che veicolavano la diffusione dei comix, anche in Italia la nuova tendenza del fumetto si diffuse

attraverso un sistema esoeditoriale, che si concretizzò nell’attività di piccole case editrici e, soprattutto, nelle produzione in proprio da parte degli animatori dei movimenti di numerosissime riviste, con pubblicazioni irregolari, che garantivano l’indipendenza dall’editoria ufficiale e la circolazione di prodotti che infrangevano le convenzioni di genere imposte dal mercato.

 

Le caratteristiche peculiari del fumetto underground, fanno di esso una sorta di negativo deforme di un medium già di per sé bistrattato dalla cultura rispettabile, un negativo che si pone per l’appunto come rovesciamento e deformazione di un genere tra i più commerciali, applicandosi alle norme che lo connotano e, conseguentemente, al sistema valoriale e ideologico che esso veicola.

La destrutturazione degli stereotipi del fumetto tradizionale è costituita dall’invenzione di trame

irriverenti o provocatorie, spesso oscene; da storie che fanno a meno di saldi nessi consequenziali di causa e effetto; dalla parodizzazione di personaggi dei fumetti commerciali; dalla sperimentazione del tratto del disegno, spinta talvolta verso una figurazione sgradevole alla vista; e dall’abolizione della serialità della produzione, in modo da infrangere del tutto l’orizzonte di attesa del lettore.

 

Il termine “controfumetto”, utilizzato a partire dagli anni Settanta per definire produzioni eterogenee, viene introdotto nell’ambito della Neoavanguardia da Lamberto Pignotti, ideatore assieme ai suoi sodali del Gruppo 70, della poesia visiva, nella prospettiva di una infrazione dei confini tra operazione artistica e comunicazione mediatica. «La poesia visiva» scrisse Pignotti nel 1965 «tende ad appropriarsi dei moduli e dei materiali dei mass media per capovolgerne, mediante

un’operazione estetica, il messaggio persuasivo e coercitivo (…) e rappresenta, in ultima analisi, una merce respinta al mittente: dalla comunicazione del fumetto, della pubblicità e del rotocalco nasce la poesia-controfumetto, la poesia-contropubblicità, la poesia-controrotocalco».

Si trattava, in sostanza, di accogliere il fumetto all’interno dell’opera d’arte, seguendo una prassi inaugurata dall’avanguardia dadaista. Pignotti, inoltre, aggiunge una riflessione importante: «il fumetto, come altri prodotti di massa, non è di per sé da condannare per la sua larga circolazione, poiché tutto dipende dalla novità e dalla qualità del messaggio, sia esso fumettistico o poetico».

Una produzione di questo tipo si sviluppa dopo la metà degli anni Sessanta proprio in ambito

avanguardistico, secondo programmi di carattere controculturale che vanno ad affiancarsi o a congiungersi con quelli dei movimenti giovanili.

Un primo, rilevante esempio è offerto dall’editore Sampietro di Bologna, che tra il 1966 e il 1967 pubblica all’interno della Piccola Collana 70 tre testi a fumetti: Il fabbro armonioso di Giovanni Morelli, Il caso limite di Carlo Santachiara e Palomares di Antonio Faeti.


Il fabbro armonioso

Il caso limite

Palomares

Nel 1977 si pone un altro esempio rilevante di controfumetto d’avanguardia – che tuttavia si colloca ben oltre il termine cronologico della Neoavanguardia – costituito da William Blake in Beulah. Saggio visionario su un poeta a fumetti, di Corrado Costa, animatore della frangia emiliana del movimento letterario Gruppo 63.


William Blake in Beulah

I primi esempi significativi di fumetti realizzati dai protagonisti dei movimenti giovanili in Italia sono le tavole di Matteo Guarnaccia, considerato uno dei maggiori illustratori della controcultura e riconosciuto, assieme a Max Capa, come uno dei padri del fumetto underground italiano. I suoi disegni sono comparsi in numerosissimi poster, copertine di libri e, soprattutto, riviste autoprodotte. La prima tra le riviste realizzate da Guarnaccia, sia in senso cronologico che per importanza, è Insekten Sekte, nata nel 1969. I protagonisti sono personaggi immaginari e fantastici  che agiscono e parlano come giovani hippie e i racconti si costituiscono come delle “contro-favole”, storie del tutto antieducative rispetto alla morale comune e al perbenismo del tempo, in linea con quella che secondo l’autore è la funzione principale dei comix, ovvero la capacità di operare la “corruzione della gioventù per via oculare”.


Insekten Sekten

Il programma di dissoluzione dell’arte nella vita quotidiana e con essa di dissoluzione delle stesse avanguardie, in quanto eredi del concetto borghese di arte che relega l’operazione estetica su un piano distaccato dalle masse, si afferma con l’ultima delle avanguardie del secolo: l’Internazionale Situazionista, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle contestazioni del Sessantotto, lasciando profonde influenze sui movimenti successivi.

Tramite la tecnica del détournement (che prevede l’accostamento dell’immagine dei fumetti commerciali a “seri” proclami di politica), il Situazionismo utilizzò il fumetto come strategia di critica spietata alla società dei consumi e arma di propaganda politica, all’interno di un programma di riappropriazione dei mezzi di comunicazione da parte dei movimenti rivoluzionari.

I fumetti furono, da quel momento, molto diffusi oltre che nelle riviste anche negli innumerevoli fogli, volantini e manifesti dei movimenti di opposizione degli anni Settanta e il détournement diventerà una delle strategie maggiormente adottate tra i fumettisti underground.

Tra gli eredi dichiarati del Situazionismo in Italia si annovera il gruppo raccolto attorno alla rivista milanese Puzz, ideata nel 1971 da Max Capa. Dopo la prima uscita come supplemento di Humour, Puzz venne completamente autoprodotta fino al 1976. Le ragioni che guidavano la produzione dei fumetti, e ed i fumetti stessi, rientravano appieno in una strategia politica, volta a  contrapporre le strisce commerciali a una sorta di apice del fumetto e alla sua forma più compiuta e consapevole.

I fumetti di Puzz si definiscono “critici” perché portatori di una critica radicale che dal genere – il fumetto – si estende all’intera logica del tardo capitalismo.


Puzz

Alcuni fumetti dell’epoca, invece, si caratterizzarono per un impegno politico di più facile lettura rivolto ai giovani dei movimenti degli anni Settanta, come le storie di Up, il sovversivo di Alfredo Chiappori.


Up

Nel 1977 nacque una delle più rilevanti riviste del fumetto underground, Cannibale, fondata da Stefano Tamburini e Massimo Mattioli, che già dal secondo numero vide la partecipazione di Andrea Pazienza e Filippo Scòzzari, rappresentanti di un gruppo di disegnatori nato all’interno della Traumfabrik, una casa occupata di Bologna divenuta vero e proprio laboratorio di controcultura. Il primo numero venne pubblicato come supplemento di Stampa Alternativa – rivista e casa editrice che ha offerto copertura legale per la pubblicazione a gran parte delle riviste autoprodotte della controcultura – il cui fondatore, Marcello Baraghini, mi ha concesso un’intervista che potete trovare nel pezzo intitolato: Alternative ribelli.

I fumetti di Cannibale rimanevano lontani dal gusto commerciale – benché certamente più leggibili e godibili rispetto al “modello” di Puzz – mantenendosi su una sperimentazione che si concentrava sul tratto del disegno e che faceva perno sull’umorismo. I temi trattati riguardavano le istanze collettive del movimento del Settantasette e le storie si componevano come racconti generazionali, per quanto trasposti in situazioni di invenzione, raccontando le vicende, l’immaginario e le convinzioni politiche che appartenevano pienamente all’esperienza dei lettori cui si rivolgevano, testimoniando il legame d’appartenenza al movimento da parte degli stessi autori.


Cannibale

La rivista Alter Alter, diretta da Oreste Del Buono, accolse un genere anticonvenzionale di fumetti, come quelli di Hugo Pratt, Guido Crepax, Guido Buzzelli o José Muñoz e anche Pentothal, il primo di una serie di personaggi ideati da Andrea Pazienza, che lo hanno reso noto a un ampio pubblico e che sono entrati nell’immaginario relativo alle contestazioni degli anni Settanta, la cui carica eversiva si ritrova tuttavia affievolita, oggi, da una sorta di processo di canonizzazione operato dai media.


Alter Alter

Nei primi anni Ottanta, Lorenzo Mattotti (che diventerà noto a livello internazionale) collaborò a Frigidaire al fianco di tanti altri disegnatori, come Massimo Giacon o Pablo Echaurren, che portarono avanti un’istanza controculturale attraverso la destrutturazione degli elementi canonici del genere, conducendo il comix underground in una fase di maturazione, che faceva perno sullo straniamento dei fumetti tradizionali e degli stereotipi in essi presenti, ma anche sull’originale e riconoscibile tratto dei singoli autori.

Se da un lato sembrava vincere la rassegnazione a non poter fuoriuscire dal sistema di mercato

e sostenere la strada dell’autoproduzione, la storia del controfumetto negli anni Ottanta

proseguirà anche su altri terreni, grazie alle nuove forme di cultura underground, e con una nuova riorganizzazione del circuito esoeditoriale, sviluppatasi con le fanzine del movimento punk.

 


Frigidaire

La lista dei fumetti italiani autoprodotti è talmente lunga che preferisco suggerirvi la lettura di un articolo molto esaustivo scritto da Michele Ginevra nel 2018: "20 anni di fumetti italiani autoprodotti".


La letteratura fumettistica si è evoluta, contaminata e arricchita nel corso degli anni, grazie a figure creative e geniali, abbracciando vari generi e respirando i mutamenti delle epoche storiche, al pari della produzione letteraria, per giungere infine alla rete telematica e ad avere nuove possibilità di diffusione e sperimentazione.

Negli anni Duemila iniziarono a prendere piede, attraverso nuovi editori dediti esclusivamente a questo mercato, fumetti caratterizzati da una narrativa intimistica, che riflette il vissuto dell’autore, con strategie di disegno più personalizzate. Nel 2011, in Italia, per Edizioni Graficart esce La profezia dell’armadillo, il primo volume di uno dei fumettisti italiani più amati: Zerocalcare.


La profezia dell'armadillo

L’edizione del 2023 del Lucca Comics & Games è stata investita dalle polemiche proprio in seguito alla decisione di Zerocalcare (al secolo Michele Rech) di non partecipare al festival, motivando così la sua rinuncia: «Purtroppo il patrocinio dell’ambasciata israeliana su Lucca Comics per me rappresenta un problema. In questo momento, in cui a Gaza sono incastrate due milioni di persone che non sanno nemmeno se saranno vive il giorno dopo, dopo oltre 6000 morti civili, uomini donne e bambini affamati e ridotti allo stremo in attesa del prossimo bombardamento o di un’invasione di terra, mentre i politici sbraitano in TV che a Gaza non esistono civili e che Gaza dev’essere distrutta, mentre anche le Nazioni Unite chiedono un cessate il fuoco – il minimo davvero – che viene sprezzantemente rifiutato, per me venire a festeggiare lì dentro rappresenta un corto circuito che non riesco a gestire.»

Al momento in cui scrivo, in cento giorni i raid delle Forze di Difesa Israeliane hanno ucciso oltre trentamila palestinesi, dei quali più di dodicimila sono bambini; quasi due milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni e il destino che li attende sembra essere quello di venire dislocate nella penisola egiziana del Sinai; sono state distrutte, o parzialmente distrutte, 187 mila abitazioni, 183 ospedali e 320 scuole; e sono stati uccisi 113 giornalisti – gli unici a riportare al mondo ciò che sta accadendo a Gaza – e 637 operatori sanitari, privando così i feriti del soccorso necessario alla sopravvivenza.

Alla luce di questi dati, la scelta di Zerocalcare appare tanto lungimirante, quanto opportuna. Anche se il fumettista non parla chiaramente di “azione volta a contrastare il fascismo”, la sua decisione di boicottare l’evento incarna proprio questo ideale.

Israele, sotto la guida del primo ministro Netanyahu, si sta rivelando il più canaglia degli Stati, e pare che nessuno sia in grado di fermare la pulizia etnica del popolo palestinese in corso.

Ancora una volta sono gli artisti, e non i politici, a dimostrate al mondo che non solo l’antifascismo non è morto, ma che oggi è più importante che mai schierarsi con decisione contro ogni forma di prevaricazione. Le piazze di tutto il mondo si sono e continuano a riempirsi di cittadini che chiedono con forza il cessate il fuoco e la fine dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza, che dura ormai da settantacinque anni.

 

È proprio per via dell’attuale contesto geopolitico, e per la disperata necessità delle persone di abbeverarsi alla fonte dell’antifascismo, che ho deciso di intervistare la redazione di ANTIFA!nzine.

 



INTERVISTA

 


La redazione di ANTIFA!nzine, disegnata da Alessio Spataro


D. Che cos’è ANTIFA!nzine?

 

R. ANTIFA!nzine è un progetto nato nel 2010 all’interno del “Centro Sociale Corto Circuito”. L’idea era quella di realizzare una fanzine a fumetti autoprodotta, in cui l’Antifascismo agisse come ideale fondamentale e filo conduttore. In un anno e mezzo uscirono tre numeri, poi per circa 10 anni il progetto venne messo da parte. Nel 2021 abbiamo deciso di uscire in concomitanza con il compleanno di Daniele Magrelli, nostro redattore scomparso qualche anno fa. Daniele ha dato un taglio editoriale alla rivista, e un grosso aiuto nella parte di editing e stile. Il numero 4, a lui dedicato, è uscito a Gennaio 2021. Nel nuovo corso ogni numero è dedicato a una persona o un evento; all’interno ci sono storie a fumetti, illustrazioni e altri contributi ispirati ad eventi chiave del movimento antifascista e alle persone che ne hanno fatto e ne fanno parte, alle loro vite.

Parliamo del presente. Al momento abbiamo prodotto 10 numeri. A marzo, in occasione del 21esimo anniversario della morte e a chiusura del ventennale, uscirà il numero 14 dedicato a Davide “Dax” Cesare, militante antifascista del centro sociale Orso di Milano, ucciso appunto 20 anni fa.

In questi tre anni abbiamo ospitato decine di autrici, autori, sceneggiatori e sceneggiatrici che ringraziamo per il loro contributo aggratise e per le loro risposte sempre molto entusiastiche e puntuali. Siamo infinitamente grati per la disponibilità che mettono sempre in campo in tutte le attività in cui li coinvolgiamo.

 

 

D. Per me l’antifascismo è un atto di resistenza quotidiano contro ogni forma di potere abusivo. Questo si traduce in una lotta costante che riguarda la sfera pubblica e sociale, quanto quella personale. Mi sembra che troppo spesso non vi sia un’effettiva coerenza tra parole e azioni, e credo che questo penalizzi la causa. Per voi cosa significa essere antifascista/i e cosa pensi/pensate dell’ipocrisia riguardo il tema?

 

R. L’essere antifascista oggi non è solo essere contro il fascismo, che non è vero che non ci sta più, lo abbiamo sconfitto militarmente ma culturalmente, al contrario della Germania, il fascismo è molto presente, basta guardarci intorno: giornalmente dobbiamo assistere a atti, ritenuti da noi, fascisti. Come il razzismo che si percepisce ovunque, non ultimo l’episodio a Udine di cori razzisti durante una partita di calcio in Serie A, altro esempio è il sessismo e il machismo, altro ultimo esempio che mi viene in mente, è il sindaco di Terni che ha commentato in modo becero e infame una richiesta di ordinanza da parte di membri della giunta comunale, ma anche la repressione di Stato, con l’attuale governo che ci guida a tavoletta verso la catastrofe, con scelte scellerate e di destrissima; da quando sta in cima ha solo vietato ogni manifestazione di dissenso, manganellato studenti, operai e attivisti ecologisti, ma anche con il sionismo, vediamo in questi ormai 105 giorni di guerra contro un popolo, come la narrazione tossica e il genocidio in atto, ai potenti del mondo, purtroppo, non gli interessa minimamente.

Quindi noi possiamo essere solo che contro queste pratiche che ci fanno schifo, e ci discostiamo assolutamente dall’antifascismo di facciata dei partiti e delle associazioni amiche dei partiti, che sfilano in blu nel capoluogo lombardo il giorno della liberazione dal nazifascismo il 25 aprile che per noi è il nostro Natale, una roba che non ho mai digerito e che segna la differenza dall’antifascismo militante e l’antifascismo da sala da the.

 

 

D. L’arte non è solo un mezzo per veicolare un’idea, è anche il passe-partout con il quale aggirare la censura. Il genocidio palestinese ad opera delle Forze di Difesa Israeliane ha svelato il vero volto dei social media, rivelandoci che non siamo affatto liberi di dire quello che ci pare, come ci pare. Carta e penna ci saranno anche dopo che l’ubriacatura social si risolverà in un brutto mal di testa, oppure è destinata a svanire?

 

R. Purtroppo anche l’arte (così come le parole e le altre forme di comunicazione visuale) non sempre riesce ad aggirare la censura, quando quest’ultima diventa sistemica. Nell’universo comunicativo mainstream questo è particolarmente vero e riguarda sia le produzioni digitali che quelle cartacee.  Le realtà militanti aggirano la censura ricorrendo all’autoproduzione e rinunciando a qualsiasi logica di sudditanza a dinamiche di profitto. Per quanto riguarda i social media, si tratta di piattaforme private, gestite da privati, con interessi privati: non sono mai stati un luogo libero, e ne facciamo uso consapevoli di questo limite.

In numerose occasioni i post di ANTIFA!nzine (e di altre realtà e soggettività militanti) sono stati oggetto di censura – ben prima degli eventi di Gaza.  Post su tematiche come la lotta No-Tav, gli eventi del G8 di Genova e la morte di Carlo Giuliani, la resistenza Curda e le denunce nei confronti del regime di Erdogan, le violenze e gli abusi in divisa, la situazione delle carceri – queste sono solo alcune delle tematiche che sono puntualmente bersaglio di censura da che abbiamo memoria.

E ne facciamo un vanto, il ban ci piace, vuol dire che stiamo facendo le scelte giuste.

Pensiamo che carta e penna continueranno ad esistere, passate di mano in mano, e lontane da qualsiasi algoritmo. Anche perché il profumo della carta è evocativo come nessun altro odore e nessuno ci toglierà il piacere di questo. Arte e libertà differenziano di tre lettere.

 

 

D. Ho un’opinione impopolare in merito ad un argomento che è salito alla ribalta dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, ai danni di Israele, ovvero: non lo condanno. Come dico spesso, è troppo facile fare i pacifisti dal divano di casa; credo che sperimentare la prevaricazione conduca chiunque a rivalutare il valore della lotta armata. Io, personalmente, preferisco ribellarmi con le parole, ma comprendo profondamente chi sente di non avere altra scelta che ricorrere alla violenza nel tentativo di ribellarsi all’oppressore. Qual è la vostra opinione in proposito?

 

R. Non ci consideriamo pacifistə, né siamo per la “non-violenza” ad ogni costo, ma siamo contro la guerra come strumento per assoggettare i popoli. Esistono le guerre di resistenza e le guerre di liberazione. Lə stessə partigianə hanno dovuto ricorrere alla violenza per affrontare la piaga del nazi-fascismo. Nel presente possiamo pensare alle lotte del popolo Curdo e del popolo Palestinese, bersagli di regimi di fatto fascisti che mirano al genocidio e alla pulizia etnica. Sarebbe surreale aspettarsi una forma di resistenza esclusivamente non-violenta.

 

 

D. Il nome della mia rivista è (F)ATTUALE, quindi vi chiedo di scegliere una cosa che non vi piace nel mondo di oggi e di dirmi in che modo il vostro lavoro potrebbe cambiarla in meglio.

 

R. Non ci piace Ignazio La Russa, vorremmo cambiarlo con il capo del Senato della Corea del Nord, così magari liberiamo delle brave persone e gli diamo quell’essere immondo impresentabile e fastidioso. A parte questo, tutto quello che possiamo provare a fare è veicolare i nostri messaggi in modo che arrivino a più persone possibile.

 

La copertina del primo numero di ANTIFA!nzine, disegnata da Zerocalcare

 


Una striscia di Toni Bruno

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