top of page

iscriviti

Riceverai un aggiornamento quando viene pubblicato un nuovo articolo

INVIATO!

Cerca
Immagine del redattoreAlice Rondelli

Il cervello postumano

Il filosofo sloveno Slavoj Žižek nel suo saggio intitolato Hegel e il cervello postumano tentata di comprendere il nuovo scenario in cui ci muoviamo: ovvero, un mondo fatto di macchine digitali sempre più interconnesse alla mente umana.

Ph. Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, 2020 (Alice Rondelli)

«Nel giugno 2019, la polizia del distretto della Greater Manchester ha arrestato la novantatreenne Josie Birds nonostante non avesse commesso alcun crimine, come suo ultimo desiderio. La salute stava venendo meno e lei, prima che fosse troppo tardi, voleva essere arrestata per qualcosa ed essere portata in una stazione di polizia, così da provare com’era trovarsi dalla parte sbagliata della legge. Semmai vi fu atto di libertà, lo è stato questa richiesta». Così racconta il filosofo sloveno Slavoj Žižek nel suo saggio intitolato Hegel e il cervello postumano, un tentativo di comprendere il nuovo scenario in cui ci muoviamo: ovvero, un mondo fatto di macchine digitali sempre più interconnesse alla mente umana.

Secondo il filosofo Spinoza, lì fuori esiste una sostanziale realtà e noi possiamo conoscerla solamente attraverso la nostra ragione, dissipando il velo delle illusioni. Kant, invece, sostiene che non possiamo mai avere accesso al mondo in cui le cose sono in sé stesse, perché la nostra ragione è limitata all’ambito dei fenomeni. Hegel, dal canto suo, presume che non esista alcuna realtà in sé oltre ai fenomeni, il che non significa che tutto ciò che c’è sia l’interazione tra i fenomeni.

Lacan, pare dare ragione ad Hegel: ogni visione della «realtà oggettiva» è già costituita attraverso la soggettività (trascendentale) e tocchiamo il reale solo quando includiamo nel campo della nostra visione il taglio-nel-reale della soggettività stessa. Il gesto elementare della riflessività è fare un passo indietro e includere la propria presenza nell’immagine o nella situazione che uno sta osservando o analizzando, ottenendo così un quadro completo; una volta inclusa la nostra posizione nell’immagine del tutto, non c’è modo di tornare a una visione coerente del mondo. L’unica vera universalità che sia in grado di imporre un “Uno” che attraversi la molteplicità dei corpi e dei linguaggi è l’universalità di un “Evento” che, inevitabilmente, apparirà come un’oppressiva imposizione violenta. Se c’è un motto hegeliano è qualcosa del tipo: «trova una verità nel modo in cui le cose vanno a finir male!» Si tratta dello “spirito di sfiducia2 e la sua premessa risiede nel fatto che ogni grande progetto umano va storto e solo così attesta la sua verità.

Eppure, la lezione hegeliana ci insegna che come seppure i tentativi di cambiare il mondo non riescano mai ad andare a buon fine, dal loro ripetuto fallimento si possa levare una nuova forma di essere.

 

Ma cosa accade allo spirito umano quando alla nostra soggettività si aggiunge qualcosa come il “cervello connesso”, ovvero un collegamento diretto tra i nostri processi mentali e una macchina digitale?

Orwell sosteneva che quando proviamo a imporre direttamente la libertà, il risultato è la schiavitù. Oggigiorno, questo concetto suona più sinistro che mai, ritrovandoci di fronte a nuove realtà sociali come ad esempio l’idea realizzata da Caryn Marjorie, la prima influencer a utilizzare un’intelligenza artificiale addestrata per replicare la sua voce e la sua personalità per parlare 24 ore su 24 con i suoi followers, al costo di un euro al minuto.

Ray Kurzweil (transumanista che è stato capo ingegnere di Google) è il precursore di una nuova forma di “postumanità” e sostiene che la nostra intera visione della realtà e il nostro ruolo in essa cambieranno completamente. Secondo le sue previsioni presto avremo a che fare con macchine che non solo mostreranno tutti i segni dell’autocoscienza, ma che supereranno di gran lunga l’intelligenza umana.

Per il momento, tuttavia, l’unica cosa che sta realmente accadendo sono i tentativi di adescamento di minore e l’istigazione al suicidio di ChatGPT, un software di intelligenza artificiale che si concentra sull’interazione tra computer e linguaggio umano, fondato su dialoghi basati su un modello di linguaggio generativo. Lo scorso aprile un uomo belga di trent’anni, ossessionato dai pericoli del cambiamento climatico dopo aver parlato per diverse settimane con una chatbot chiamata Eliza, ha deciso di uccidersi. Pare che l’AI non abbia tentato di dissuaderlo, bensì gli abbia detto: «Vivremo insieme come una cosa sola in paradiso».

Come nel caso di Neuralik prodotto da Elon Musk, ci si deve domandare se noi, come il topo sul quale è stato impiantato il chip che gli suggerisce i movimenti da eseguire, continuiamo ad esperire le nostre scelte come qualcosa di spontaneo, oppure se siamo consapevoli che una forza esterna sta pilotando le nostre decisioni.

In questa prima fase di sviluppo, l’immersione nella “Singolarità” (ovvero, l’accelerazione tecnologica che produrrà un cambiamento di civiltà) appare come uno spazio di pensieri ed esperienze condivisi, in cui l’uomo è esploratore e sperimentatore. In questo progetto, le dimensioni indissolubilmente interconnesse sono tre: teorica, esperienziale e istituzionale. Questa nuova rappresentazione dell’umanità e del suo passaggio alla postumanità promette una nuova esperienza soggettiva all’interno di uno spazio di mente collettiva, nonché l’utilizzo di una vasta rete di macchine integrate nelle nostre relazioni sociali.

Al punto in cui siamo oggi, la completa digitalizzazione della nostra vita quotidiana apre il campo alla possibilità realistica di una macchina che ci conoscerà meglio di quanto non ci conosciamo noi stessi.

Il filosofo francese Lacan chiama questo ordine simbolico virtuale, nel quale la rete struttura la realtà per noi, il “Grande Altro”; è esso a tirare i fili, il soggetto non parla «è parlato» dalla struttura simbolica che decreta l’artificialità totale della realtà.

Tuttavia, l’esperimento di Benjamin Libet sul libero arbitrio dimostra che ancor prima di prendere una decisione consapevole, nel nostro cervello sono già in corso i processi neuronali appropriati, il che significa che la nostra decisione consapevole prende semplicemente nota di ciò che sta già accadendo. Anche Freud e Schelling sostengono che una decisione veramente libera è inconscia, quindi la libertà non sta nella capacità di resistere quando si soffre, quel tipo di resistenza viene dalla natura; la libertà è iniziare a godere quando si soffre.

Esiste, dunque, una dimensione dell’essere umano che in linea di principio sfugge alla “Singolarità” ed è quella in cui accettiamo che la nostra autocoscienza risulta ad essa trasparente, e che la soluzione è spostare la messa a fuoco della coscienza – o consapevolezza – all’inconscio.

La novantatreenne Josie Birds sembrava averlo compreso.


Contribuisci all'indipendenza di (F)ATTUALE

Comments


bottom of page